Ragionavolmente soddisfatto dal pregevole piatto di Biryani Chicken cucinato in casa dal signor Banerjee ieri sera, era inevitabile che il mio pensiero svolazzasse pigramente verso l’ affascinante (molto) e misterioso (poco) Subcontinente indiano – dove gli uomini sono uomini, le tigri sono tigri e i broadcaster sono broadcaster, mica pentolai da quattro rupie o truffatori dilettanti degni di lunghi soggiorni nel carcere di Guwahati a scontare il loro vizietto del falso in bilancio.
Prasar Bharati, authority pubblica per il broadcast indiano, ha deciso di dare un’accelerata alla copertura di All India Radio in modulazione di frequenza in 210 nuove location situate in città grandi e medie, in modo da raggiungere la parità con i privati (tutti i privati messi assieme) per quanto riguarda la copertura delle città grandi e medie. Si tratta di un investimento che solo in infrastrutture raggiunge le Rs 2,000 crore: il sistema indiano di espressione dei multipli di dieci mi è sempre stato ostile e azzardare una conversione esatta mi esporrebbe a errori clamorosi, per cui preferisco affermare che Rs 2,000 crore sono un sacco di soldi , più o meno mezzo milione di dollari che come investimento nella radiofonia pubblica non è niente male. E comunque l’ authority ha già contattato le amministrazioni locali di tutti gli stati indiani di modo che i lavori possano iniziare immediatamente dopo l’approvazione del progetto da parte del governo centrale di Delhi.
Il settore della radiofonia, che in India comprende 36 operatori di emitenti FM, vale – a spanne – 300.ooo dollari che dovrebbero quanto meno raddoppiare entro il 2015 con l’ingresso di nuovi player; la radio pubblica All India Radio, con i suoi network a onde medie corte e FM, detiene attualmente il 35% del mercato, copre il 91.85 % dell’area geografica del Paese e raggiunge il 99.2 % della popolazione. L’ espansione della rete viene vista come una mossa finalizzata a mantenere la posizione predominante nel mercato e aumentare i fatturati prodotti da un mercato in continua espansione.
Questa è cronaca. La questione interessante, secondo me, è la seguente: da una parte abbiamo l’ India dove una radio pubblica – cioè di proprietà dei cittadini – investe somme ragguardevoli in nuove strutture, ammoderna le reti esistenti, accende nuovi trasmettitori, guadagna denaro, crea cultura e posti di lavoro. Dall’altra in Italia si smantellano le reti RadioRai, i trasmettitori a onde medie o sono rottamati o vengono usati per “esperimenti” di trasmissioni digitali che nessuno ascolta, gli impianti sono obsoleti, il livello della programmazione è sotto al minimo sindacale di dignità.
L’India è un paese povero e in via di sviluppo con un PIL che cresce del 7.8% all’anno; L’ Italia è un paese ricco e industrializzato del cui PIL è meglio non parlarne. Non è che si potrebbe reclutare un paio di economisti e/o businessman indiani con l’incarico di gestire la nostra radiofonia pubblica, dato che i cialtroni addetti a farlo stanno a tutti gli effetti appropriandosi di denari pubblici in quantità con l’unico risultato di mandare in vacca l’azienda che dovrebbero gestire?
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